Non solo custode di mio fratello disabile…

Non solo custode di mio fratello disabile…

Con immensa gioia vi presentiamo la sorella di un ragazzo Asperger, che ha deciso di parlarci della sua esperienza. Per la sua privacy ci ha pregato di non risultare tra gli autori; per questo risultiamo autrici io e Chiara.

Lasciamo subito la parola e la penna a questa giovane donna, che con grande sincerità e sensibilità ci parla della sua esperienza.

 

La sera di venerdì 7 ottobre sono partita da casa di malumore per andare ad assistere a un intervento dedicato ai fratelli di ragazzi autistici. La ragione del mio malumore era molto semplice: in casa mia, ogni volta che venivo notata, interpellata, ogni volta che mi si chiedeva come stavo e quali fossero i miei progetti, era sempre in relazione a mio fratello. Come organizziamo la sua giornata? Il suo futuro scolastico? Come dovremmo comportarci con la preside, la psicologa, l’insegnante di sostegno, il mondo intero, il futuro che ogni volta mi veniva dipinto nero da far paura?

Inoltre ero sulla difensiva per un altro motivo. Che speranze avevo che non fosse l’ennesima serata di elogio della disabilità? Ho già preso parte a troppi di essi. Cosa c’è da glorificare nella disabilità, nei cambiamenti che comporta nelle vite delle persone che ne sono affette, di coloro sui quali ricade la responsabilità? Perché si sente la necessità di trovare qualcosa di fantastico in una condizione che nel migliore dei casi comporta una grande fatica riorganizzativa e nel peggiore devasta interi nuclei familiari, intere vite? Forse perché abbiamo bisogno di una risposta a questo “perché” che non lascia dormire, che monopolizza i pensieri, che rende pesante e insostenibile ogni minuto.

Ovviamente – e altrimenti non sarei qui a scrivere – la serata non si è affatto svolta secondo le mie previsioni. Ho incontrato persone che non negavano quanto la cosa fosse tremendamente difficile e quanto avesse trasformato le loro vite, a volte in positivo, altre in negativo. Ma continuavo a sentirmi inadeguata e sbagliata di fronte a quei fratelli che provenivano da diverse situazioni – perché ovviamente no, non esistono due “autismi” uguali – e avevano vissuto diverse esperienze, così sono intervenuta portando in campo la mia vita di sorella “sbagliata”, che cova ancora tanta rabbia e che fatica a perdonare la propria famiglia per quello che è stato il loro atteggiamento. Forse vedere tante madri schierate in difesa dell’altro figlio, quello che “può cavarsela da solo”, ha risvegliato un dolore mai sopito: sinceramente, non lo so. Sentivo solo il bisogno di ringraziarle per non aver dato per scontati i loro figli “normali” (i cosiddetti “neurotipici”), per aver voluto mostrare a tutti quello che spesso viene trascurato dai libri, dai professionisti, dagli altri membri della famiglia: ci siamo anche noi.

La cosa più importante da evidenziare, a mio parere, è che mentre un genitore viene investito da una responsabilità così grande nella fase adulta della vita e quindi ha maturato nel corso degli altri una struttura della personalità più solida che gli consente di (o comunque lo aiuta a) rispondere a una situazione grave come la disabilità di un figlio, per i fratelli non è così. A un certo punto ci rendiamo conto che la nostra vita, così come la conoscevamo, è profondamente cambiata e ci troviamo a vivere situazioni che i nostri amici non vivono, che i nostri insegnanti non capiscono, che nemmeno noi capiamo e che non siamo assolutamente preparati ad affrontare.

Per questo motivo, secondo me, è fondamentale non nascondere la disabilità (anche perché, come sappiamo, i bambini non sono affatto stupidi) e aiutare il fratello “normale” a comprendere la situazione e quello che comporterà nella vita quotidiana della famiglia. L’istinto di proteggere entrambi i figli, nascondendo la verità per proteggere l’uno dalla consapevolezza della propria malattia e l’altro dalla consapevolezza di una situazione familiare indipendente da lui ma che lo segnerà profondamente, è una bomba a orologeria, destinata a sventrare il nucleo familiare.

Non c’è niente di male nella disabilità: si tratta di una variabile naturale di cui non hanno colpa né i genitori né la persona malata né, tantomeno, gli altri figli. Un’altra cosa importantissima, secondo la mia esperienza, è non permettere mai che gli altri figli si colpevolizzino in quanto nati “sani”: non è un merito né una colpa. Personalmente, non sono mai stata la tipica adolescente ribelle, ma ogni volta che tentavo di incamminarmi su una strada diversa da quella che la mia famiglia (intesa come nucleo esteso, non limitato soltanto ai miei genitori) aveva previsto per me mi venivano rinfacciate una serie di responsabilità atroci per una ragazzina, derivanti dal fatto che io ero quella “sana”. “Magari lui fosse come te, magari foste nati uguali, invece tu hai tante possibilità e lui nessuna…” Spesso ho odiato la mia condizione, mi sono colpevolizzata, fatta del male e tarpata le ali: probabilmente si trattava di una punizione che mi autoinfliggevo, di un’espiazione per poter “pagare” il mio debito nei suoi confronti. Purtroppo, quello che acquisiamo durate l’infanzia e la prima adolescenza pone le basi per quello che saremo nell’età adulta, e il percorso per riuscire a “raddrizzare” una visione storta sul mondo è terribilmente lungo e doloroso: molte persone, fra le quali la mia terapeuta, mi ripetono che non c’è nulla di sbagliato in me e che possiedo tante risorse, ma queste parole fanno fatica a fare breccia dentro di me, perché probabilmente ho cercato di soffocare tutte le mie qualità e il mio potenziale per cercare di assomigliare il più possibile a mio fratello, per cercare di ridurre il più possibile una distanza che sentivo come una colpa personale.

Noi fratelli neurotipici non possiamo crescerci da soli, non possiamo essere genitori di noi stessi. Spesso gli studi (o anche la semplice esperienza) mostrano che i fratelli di persone con disabilità tendono a maturare un senso di responsabilità e indipendenza prima degli altri bambini: questo può essere vero, ma non esclude assolutamente la necessità di un bambino della presenza dei genitori. Anche se spesso finiamo per imparare a cavarcela da soli, il vuoto lasciato dalla mancanza dei genitori è destinato a lasciare il segno: anche noi abbiamo bisogno di condividere le piccole esperienze della nostra vita, come la giornata a scuola, un brutto voto, un pensiero su un film che abbiamo visto, e abbiamo bisogno del consiglio dei genitori: mamma, sto bene vestita così? Spesso noi fratelli “normali” comprendiamo, anche magari a livello inconscio, che “l’altro” ha più bisogno di voi genitori rispetto a noi, ma a lungo andare venire sempre trascurati in nome di esigenze “più importanti” porta a un enorme accumulo di rabbia e a un rapporto distaccato. In quanto figlia “in grado di cavarsela”, ormai alle soglie dell’età adulta e con la prospettiva di compiere scelte importanti dal punto di vista dell’indipendenza, mi trovo a essere sempre stata un’adulta e quindi a voler tornare a uno stadio infantile che sento come se mi fosse stato ingiustamente sottratto.

In conclusione, se dovessi fare un rapido sommario di ciò che voglio trasmettere ai genitori… Siateci: magari non ci porterete a fare le vacanze del secolo perché purtroppo le cure costano e le istituzioni non aiutano abbastanza, ma se vi chiediamo un consiglio sul ragazzino che ci piace, o vogliamo condividere con voi un aneddoto della nostra vita quotidiana, ascoltateci.

Amateci per quello che siamo: vostri figli. Non i “fratelli sani” o i “figli bravi che non hanno bisogno di noi”: non siamo nati in rapporto ai nostri fratelli disabili e non vogliamo né possiamo essere soltanto i loro custodi. Considerateci come individui completamente separati ma ugualmente bisognosi di voi e delle vostre cure, fateci crescere con il sano, egoistico desiderio di volerci realizzare al meglio delle nostre potenzialità, e vedrete che poi torneremo ad aiutarvi come persone equilibrate e complete.

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Elisabetta e Chiara

1 Comment On This Topic
  1. Luisa
    on Giu 1st at 19:26

    Sono la madre di un Asperger di 35 anni e sto affrontando le difficoltà conseguenti con il mio secondogenito di 32 anni, normotipico…o forse no…ho bisogno di aiuto. Grazie per avermi letto


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